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Oltre i grandi scenari della Distribuzione

Il Point-of-Purchase Advertising Institute, nato negli Stati Uniti e presente in Italia dal ’95 e oggi con la nuova denominazione Retail Institute Italy, aiuta le catene retail a relazionarsi in modo efficace con i consumatori

 

L’Associazione internazionale Popai, senza fini di lucro, che opera nel nostro Paese dal 1995 e da dicembre 2016 ha assunto la nuova denominazione Retail Institute Italia, raccoglie in Italia, 240 associati, tra le grandi brand, le catene di distribuzione, le agenzie di promozione, il real estate e ha lo scopo di promuovere la cultura del Punto di Vendita nella sua globalità, al fine di valorizzarne l’importanza all’interno del marketing-mix.

Attraverso le parole del suo presidente, Daniele Tirelli, cerchiamo di capire quali sono le sfide che la Distribuzione moderna deve affrontare e come ci si può muovere fra il Trade marketing e il Marketing at Retail.

Cosa significa oggi promuovere la cultura del punto vendita nella sua globalità?

La cultura del punto di vendita riassume in sé molti altri aspetti culturali. In primo luogo, la deduzione che il libero mercato e dunque il commercio sono la chiave per trasferire a un numero sempre più ampio di individui i benefici del progresso tecnologico ed economico. In secondo luogo, la consapevolezza che la progressiva, crescente differenziazione dell’offerta sollecita una sequenza ininterrotta di “esperienze” che si attuano in casa, ma soprattutto nei luoghi preposti alla vendita. In terzo luogo, la comprensione della natura profondamente simbolica di ciò che viene venduto. La suggestione che esercita un prodotto nel momento dell’acquisto è l’apice di una soddisfazione che decade successivamente, lasciando spazio al riacquisto. Dunque il disegno dello store deve essere funzionale soprattutto alla creazione di uno spazio “suggestivo”.

Dal suo punto di vista privilegiato, come vede l’evoluzione del mondo Retail in Italia?

Per le ragioni menzionate e per la debolezza con cui sono state storicamente poste in atto, il Retail Italiano soffre di una notevole inerzia. Tuttavia il 2016 sembra essere un anno in cui, forse per l’effetto Expo, sono stati notati interessanti segnali di innovazione. Dopo la “colonizzazione” del territorio da parte delle più grandi catene internazionali (GAP, ZARA, H&M, LUSH, HOLLISTER,…) assistiamo ad ulteriori ondate di diffusione di tutti formati nei vari settori. Quindi prevedo che le abitudini di acquisto delle classi medie Italiane subiranno delle rapide trasformazioni in ogni direzione: alimentari, cura di sé, informative, ricreative, … ecc. armonizzandole all’ambito più vasto dell’Europa e dell’Occidente. In questo senso lo scambio sarà biunivoco. Lo store design Italiano ha lasciato un’impronta internazionale nel settore del lusso, dell’arredamento; parallelamente sta acquisendo know-how nel mass-market.

Quali differenze ci sono in rapporto alle realtà internazionali?

Allargando il concetto precedente si può dire che i nostri centri commerciali più recenti si differenziano da quelli esteri probabilmente per dimensioni o per collocazioni urbanistica ma, ormai, assai poco per quanto riguarda la composizione dei tenants nel settore dell’abbigliamento, della telefonia, dell’accessoristica, della profumeria. Ciò che appare più in ritardo è la presenza dei vari “category killer” ad ampia diffusione territoriale. E questo anche nel campo dell’igiene e bellezza e del toiletry. A questo proposito non si dimentichi una profonda differenza rispetto al passato: oggi esiste il più aggressivo dei category killer, ovvero Amazon, che in particolare nel settore della cosmetica e dei prodotti di bellezza potrebbe far male anche a scadenza ravvicinata.

Quali sono i servizi che Retail Institute Italia fornisce ai suoi Associati?

Essendo un’associazione senza fini di lucro, forniamo una serie di servizi generalizzati: rassegna stampa, seminari, conferenze, master, ecc. vale a dire strumenti per la crescita professionale collettiva e personale. Queste iniziative sono articolate in funzione dei diversi livelli di responsabilità in azienda: dai general manager, ai giovani entranti. Nel caso di specifiche richieste da parte di singole aziende associate, organizziamo formazione in azienda e viaggi di studio. Ovviamente, tutto il ricavato viene riversato nello sviluppo dell’associazione.

Quale è il supporto formativo che mettete a disposizione delle imprese?

Abbiamo una vasta rete di formatori Italiani e stranieri, sia accademici, sia inseriti nelle varie professionalità. La nostra associazione si pregia di essersi sempre mossa sulla “frontiera” dello stato dell’arte. Per primi abbiamo parlato di Shop-entainment, di Green Retail, di Digital Signage, di Multichannel, di Grocerant, ecc.  Tendiamo sempre di più ad offrire una formazione verticale di approfondimento su specifiche tematiche professionali, oltre ai grandi scenari della distribuzione.

Sul tema del marketing nel mercato Retail si scrivono ogni giorno molte cose ma quale può essere, oggi, la strategia marketing più sinergica ai cambiamenti epocali che stanno avvenendo nei consumatori e nei punti di vendita?

La prima distinzione è quella tra Trade Marketing e Marketing-At-Retail. Il primo consiste in una serie di tecniche destrutturate per vendere meglio al cliente preliminare dell’industria: il trade. Il secondo, al contrario, consiste nel vendere meglio al consumatore finale il proprio prodotto attraverso la piena, efficiente ed efficace utilizzazione dei molteplici canali di vendita (tra cui quelli monobrands).  Dunque la scelta coerente di una strategia di vendita al consumatore finale implica differenti approcci: se per esempio il prodotto è seriale, industriale, identico nello spazio-tempo, massificato, allora il prezzo è la variabile da enfatizzare in logica di de-marketing. Se il prodotto ha caratteristiche di unicità, di alto contenuto estetico ed emozionale, allora deve accadere il contrario e le modalità di presentazione tornano a essere basilari.

Ci sono strumenti ad hoc che la sua associazione mette al servizio di comparti merceologici specifici trattati all’interno dei punti vendita come i segmenti della Personal e dell’Home Care?

Naturalmente sì. Si parte dai grandi raffronti internazionali di formati ed esposizioni e si giunge a quelle che devono essere le tecniche di comunicazione in store con l’applicazione intelligente di tutte le tecnologie innovative che vengono proposte mediandole con gli indispensabili contenuti di servizio che il pdv deve fornire. L’analisi dei canali che si moltiplicano in questo settore con tutte le loro specialità è campo oltremodo interessante per la dinamicità e la complessità che lo caratterizza: profumerie, supermarket, specialisti, farmacie, online, ecc. è un mondo affascinante.

Ogni anno l’Associazione organizza e promuove un premio: quale è lo scopo di questo evento?

Esiste un’arte “minore” (in quanto non ben conosciuta) che si esercita nella predisposizione dei display, delle vetrine e dei luoghi di vendita. Essa si intreccia con il gusto che alimenta la cultura e l’estetica popolare. Esistono pertanto delle eccellenze che sanno coniugare eleganza, divertimento, creatività con la funzionalità e il rispetto dei vincoli economici della riproduzione in decine, centinaia e migliaia di copie del prototipo. Dunque il tutto giustifica un premio, serio; serio nel senso che diamo pochi riconoscimenti attraverso una giuria di “clienti-utilizzatori” e non i soliti guru-tuttologi del nostro ambiente.

Perché un’impresa della Distribuzione Moderna dovrebbe aderire a Retail Institute Italia?

Perché è l’associazione trasversale che consente ai professional dei vari settori di conoscere quel che accade nei mondi “paralleli” al proprio. Perché i momenti associativi non sono mai al di sotto di uno standard apprezzato e ben conosciuto. Perché con un piccolo investimento si può usufruire degli investimenti fatti da altri nel passato e nel presente in un’ottica positiva di cooperazione libera e spontanea.

 

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Chi è Daniele Tirelli

Daniele Tirelli, Presidente di Retail Institute Italia, si è laureato in Fisica e poi in Scienze Economiche e Sociali conseguendo, successivamente, il Ph.D. in Economia. Dopo gli studi presso varie Università europee, ha lavorato come economista presso la società di previsioni econometriche Prometeia e poi come dirigente in IRI Infoscan e ACNielsen. Tiene corsi avanzati presso l’Università IULM – Facoltà di Comunicazione, relazioni pubbliche e pubblicità – e presso l’Università Statale di Milano. Ha insegnato Economia e statistica presso l’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo. Collabora con numerose testate specializzate. Tra i suoi libri: “Il cronodizionario dei consumi”, Compositori, 2002; “Dentro i consumi”, Agra, 2007; “Pensato & Mangiato: il cibo nell’immaginario degli Italiani”, Agra, 2006; “Digital Signage”, FrancoAngeli, 2009; “Retail Experience in Usa. Dove vendere è un’arte”, Franco Angeli 2013

 

Retail Institute Italia

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